L'accatastamento di un immobile non ha valore a soli fini fiscali

Non corrisponde a verità che l’accatastamento di un immobile abbia valore soltanto ai fini fiscali in quanto, al contrario, le iscrizioni catastali rilevano, ad esempio, anche nelle procedure ablative o similari al fine dell’individuazione del proprietario (ex art. 11, d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327); o per l’individuazione dei coefficienti di computo del canone con riferimento alle categorie catastali (ex art. 16 della abrogata L. 27/07/1978, n. 392); ed anche sul piano civilistico, i dati catastali degli immobili ben possono identificare l'immobile trasferito, in caso di alienazione di immobili, e quindi possono valere ad individuare con esattezza il bene oggetto della cessione.

Consiglio di Stato, Sezione IV, decisione n.1712 del 26/03/2013

 

Relatore :

Umberto Realfonzo

Presidente :

Anna Leoni

 

Oggetto:

opere ed interventi --> natura degli interventi --> mutamento di destinazione d'uso --> accertamento della destinazione

Sintesi:

In tema di accertamento della destinazione d'uso, l’art. 13 della L.R. Liguria 6.6.2008, n. 16 ha configurato un sistema “a cascata”, per cui si dà in primo luogo la prevalenza agli atti pubblici dai quali risulta la destinazione legale e, solo in caso di totale assenza, consente di far riferimento ad elementi integrativi, ma pur sempre e solo “risultanti da atti giuridici”, cioè con documenti di prova preesistenti e non formati per l’occasione.

Oggetto:

giudizio --> prove --> risultanze catastali

Sintesi:

Se, fin dalla legge istitutiva del 1º marzo 1886 n. 3682, le iscrizioni catastali non hanno valore di piena prova ai fini del riconoscimento della proprietà dei beni immobili, tuttavia ciò non toglie che a partire dalla riforma dal 1939 la funzione primaria del Catasto è quella di consentire di individuare la destinazione (anche - ma non solo - ai fini fiscali della fissazione della rendita degli immobili) e le singole categorie catastali vengono attribuite ad ogni fabbricato proprio in base alla destinazione urbanistica del permesso edilizio.

Oggetto:

giudizio --> prove --> risultanze catastali

Sintesi:

Non corrisponde a verità che l’accatastamento di un immobile abbia valore soltanto ai fini fiscali in quanto, al contrario, le iscrizioni catastali rilevano, ad esempio, anche nelle procedure ablative o similari al fine dell’individuazione del proprietario (ex art. 11, d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327); o per l’individuazione dei coefficienti di computo del canone con riferimento alle categorie catastali (ex art. 16 della abrogata L. 27/07/1978, n. 392); ed anche sul piano civilistico, i dati catastali degli immobili ben possono identificare l'immobile trasferito, in caso di alienazione di immobili, e quindi possono valere ad individuare con esattezza il bene oggetto della cessione.

Oggetto:

opere ed interventi --> natura degli interventi --> mutamento di destinazione d'uso --> accertamento della destinazione

Sintesi:

In difetto di indicazione nei titoli abilitativi, la precisa ed inequivocabile destinazione catastale dell'immobile costituisce un elemento che non può essere pretermesso o ignorato né dalla P.A. e neppure dai relativi proprietari.

Oggetto:

opere ed interventi --> natura degli interventi --> mutamento di destinazione d'uso --> accertamento della destinazione

Sintesi:

La destinazione d’uso d'uso giuridicamente rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o catastale, dovendosi del tutto escludere il rilievo di un uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato sull'immobile, risultante da circostanza di mero fatto. tale uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a modificare ex sé la qualificazione giuridica dell’immobile.

Oggetto:

opere ed interventi --> natura degli interventi --> mutamento di destinazione d'uso --> aumento del carico urbanistico

Sintesi:

Il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell'ambito delle stesse categorie catastali possono anche aversi mutamenti di fatto, ma che, come tali, sono irrilevanti sul piano urbanistico.

Oggetto:

giudizio --> prove --> risultanze catastali

Sintesi:

La legge 28 gennaio 1977, n. 10 (oggi abrogata dal d.P.R. nr. 380 del 2001 il cui art. 10 rinvia a sua volta alle disposizioni regionali) distingueva quattro categorie generali di destinazioni d'uso urbanistiche, come tali rilevanti ai fini del calcolo del contributo di concessione (rispettivamente: a) residenziale, b) industriale-artigianale, c) turistico-commerciale-direzionale; d) agricola).

Oggetto:

opere ed interventi --> natura degli interventi --> mutamento di destinazione d'uso --> categorie di destinazioni d'uso

Sintesi:

Per la Regione Liguria, l’art. 7 della L.R. Liguria 7 aprile 1995 n. 25 distingue le seguenti categorie di destinazioni d'uso: a) residenza; b) ospitalità ricettività alberghiera, all'aria aperta, nonché extralberghiera; c) distribuzione al dettaglio; d) uffici; e) edifici per l'industria, l' artigianato, la movimentazione e la distribuzione all'ingrosso di merci.

Estratto:

« ____1.§.5. Tutte le censure sono prive di fondamento. Sotto il profilo giuridico, la questione della valutabilità ai fini del recupero abitativo del 100% e non al 70 % delle superfici agibili, deve essere inquadrata con riferimento all’art. 63 punto BB2. 2.8 delle N.T.A. del P.U.C. di Genova, in base alla quale “Per gli edifici compatibili, adibiti a funzioni vietate, é ammessa la ristrutturazione solo con cambio d'uso per funzioni ammesse, con riduzione al 70% della S.A.”. In tale prospettiva l’art. 13 della L.R. Liguria 6.6.2008, n. 16 specifica che “…per destinazione d'uso in atto si intende quella risultante dal pertinente titolo abilitativo ovvero, in mancanza di esso, da diverso provvedimento amministrativo rilasciato ai sensi di legge ovvero, in difetto o in caso di indeterminatezza di tali atti, quella in essere alla data di approvazione dello strumento urbanistico generale vigente o, in subordine, quella attribuita in sede di primo accatastamento, quella risultante da altri documenti probanti ovvero quella desumibile dalle caratteristiche strutturali e tipologiche dell'immobile esistente”. In base agli ordinari canoni interpretativi la semplice lettura della norma rende dunque evidente che il legislatore regionale ha configurato un sistema “a cascata”, per cui si dà in primo luogo la prevalenza agli atti pubblici dai quali risulta la destinazione legale e, solo in caso di totale assenza, consente di far riferimento ad elementi integrativi, ma pur sempre e solo “risultanti da atti giuridici”, cioè con documenti di prova preesistenti e non formati per l’occasione. In tale direzione l’espressione “…in subordine...” sta a significare che, in carenza dei precedenti elementi si dovrà ricorrere innanzitutto al “primo accatastamento”. Solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui neanche tali dati siano utili ad identificare la destinazione d’uso(es. immobili ex agricoli) si può ricorrere ad “…altri documenti probanti…”, ed a chiusura del sistema, in caso si mancanza anche di questi, si potevano tener conto anche delle “caratteristiche strutturali”. Peraltro, l’impianto della Legge regionale appare in realtà del tutto conforme ai cardini generali della materia. Infatti se, fin dalla legge istitutiva del 1º marzo 1886 n. 3682, le iscrizioni catastali non hanno valore di piena prova ai fini del riconoscimento della proprietà dei beni immobili, tuttavia ciò non toglie che a partire dalla riforma dal 1939 la funzione primaria del Catasto è proprio quella di consentire di individuare la destinazione (anche -- ma non solo -- ai fini fiscali della fissazione della rendita degli immobili) e le singole categorie catastali vengono attribuite ad ogni fabbricato proprio in base alla destinazione urbanistica del permesso edilizio. In linea di principio quindi non corrisponde dunque affatto a verità che l’accatastamento di un immobile abbia valore ai fini fiscali in quanto, al contrario, le iscrizioni catastali rilevano, ad esempio, anche nelle procedure ablative o similari al fine dell’individuazione del proprietario (ex art. 11, d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327); o per l’individuazione dei coefficienti di computo del canone con riferimento alle categorie catastali (ex art. 16 della abrogata L. 27/07/1978, n. 392); ed anche sul piano civilistico, i dati catastali degli immobili ben possono identificare l'immobile trasferito, in caso di alienazione di immobili, e quindi possono valere ad individuare con esattezza il bene oggetto della cessione (cfr. Cassazione civile sez. II 17 febbraio 2012 n. 2369). In ogni caso, le categorie catastali rilevano ai fini dell’individuazione delle destinazioni delle unità immobiliari ivi censite per cui, in difetto di indicazione nei titoli abilitativi, la precisa ed inequivocabile destinazione catastale costituisce un elemento che non può essere pretermesso o ignorato né dalla P.A. e neppure dai relativi proprietari. La destinazione d’uso d'uso giuridicamente rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o catastale, dovendosi del tutto escludere il rilievo di un uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato sull'immobile, risultante da circostanza di mero fatto. Tale uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a modificare ex sé la qualificazione giuridica dell’immobile. Questo basta per poter concludere che, essendoci una visura catastale risalente al 1940 – tra l’altro allegata al progetto per la concessione originaria dalla stessa proprietà dante causa dell’I. – il Comune non doveva, anzi non poteva, affatto prescindere dalle predette risultanze catastali. Non era dunque affatto necessaria alcuna ulteriore, e particolare, istruttoria a tal riguardo né da parte del Comune e tantomeno da parte del TAR, in quanto non vi era alcuna elemento di incertezza su cui indagare. Di qui l’assoluta esattezza della motivazione per cui in assenza di titoli abilitativi, l’unico elemento certo al quale fare riferimento per stabilire la destinazione d’uso dell’immobile, inutilizzato al 2000, data di approvazione del Piano urbanistico Comunale- PUC di Genova, era quella attribuita in sede di primo accatastamento, che destinava l’edificio a funzione “opificio D/1” e dunque a funzione vietata nella sottozona BB della disciplina del PUC. Di fronte alla qualificazione catastale in cat. D/1, irrilevante appare poi in ogni caso che la destinazione “di fatto” sarebbe tra quelle ammissibili in zona BB dalle sopravvenute previsioni urbanistiche, in quanto riconducibile alla “funzione di servizi”, ed in particolare tra quelle previste all’articolo 43. 4.7 lett. a) n.d.a. del PUC “connettivo urbano”. Il sopravvenire di una disciplina urbanistica, in assenza di atti di assensi del Comune a istanze di mutamento di destinazione non può ex sé mutare le destinazioni formalizzate a catasto. Infatti il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell'ambito delle stesse categorie catastali possono anche aversi mutamenti di fatto (cfr. Consiglio Stato, sez. V 22 marzo 2010 n. 1650), ma che, come tali, sono irrilevanti sul piano urbanistico. In un caso identico la giurisprudenza aveva espressamente ricordato come l'abuso eventualmente commesso dal proprietario -- che destina a scopi commerciali una parte di un immobile con destinazione industriale -- non vale in alcun caso ad imprimere allo stesso una destinazione formale diversa da quella risultante cartolarmente (cfr. Consiglio Stato sez. V 11 giugno 2003 n. 3295). Il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è dunque soltanto quello che interviene legittimamente tra categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico, posto che il mutamento di fatto, da “produttivo" ad attività di commercio all'ingrosso -- o anche al dettaglio -- non configura come un mutamento di destinazione d'uso giuridicamente ed urbanisticamente rilevante (cfr. Consiglio Stato sez. V 13 febbraio 1993 n. 245). Sotto il profilo giuridico poi le circostanze riferite dall’appellante non appaiono comunque risolventi in quanto l’art. 43 punto 4.9 delle N.T.A. del P.U.C. vieta nella sottozona BB le funzioni di “depositi e commercio all’ingrosso”, riconducibile alla categoria “industria, artigianato, movimentazione e distribuzione all’ingrosso delle merci”. Tale ultima disposizione deve essere letta nella scia dell’impianto originariamente posto dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (oggi abrogata dal d.P.R. nr. 380 del 2001 il cui art. 10 rinvia a sua volta alle disposizioni regionali) in cui si distinguevano quattro categorie generali di destinazioni d'uso urbanistiche, come tali rilevanti ai fini del calcolo del contributo di concessione (rispettivamente: a) residenziale, b) industriale-artigianale, c) turistico-commerciale-direzionale; d)agricola). In particolare per la Regione Liguria l’art.7 della L.R. Liguria 7 aprile 1995 n. 25 distingue: “a) residenza; b) ospitalità ricettività alberghiera, all'aria aperta, nonché extralberghiera; c) distribuzione al dettaglio; d) uffici; e) edifici per l'industria, l' artigianato, la movimentazione e la distribuzione all'ingrosso di merci”. Qui non vi è stato dunque alcun errore sui presupposti dell’istruttoria in quanto, anche il sopravvenire della “funzione di servizi” ammissibile in zona BB, costituiva un’evenienza la quale comunque non avrebbe potuto cambiare il carattere abusivo dell’eventuale mutamento di destinazione, in assenza del conseguimento, peraltro a titolo oneroso, di un conforme provvedimento abilitativo. Di qui l’assoluta inconferenza del contratto di locazione a deposito a servizio di quella commerciale dei soci svolta nell’immobile dalla Società Cooperativa Ligure Calzature e Pelletterie tra il 1981 e il 1997, e del rilievo per cui questa sarebbe riconducibile alla funzione “connettivo-urbano”. Tale circostanza di mero fatto non muta l’essenza della questione né sotto il profilo fattuale e neppure sotto quello giuridico. In tale direzione resta del tutto inconferente la pretesa a ricorrere alla prova per testi per provare un fatto che risultata ininfluente a tutti gli effetti. Né poteva mutare la legale destinazione d’uso, l’aver ubicato nel seminterrato la sede sociale della cooperativa in quanto comunque ciò non implicava alcun accesso a soggetti diversi dai soci della Cooperativa. Non vi è poi alcun reale elemento di prova che i locali non fossero stati effettivamente destinati “ad uso esclusivo di deposito non a contatto con il pubblico degli utenti e di consumatori” come recitava la relativa clausola del contratto di locazione. Al riguardo appare una mera insinuazione il fatto che sarebbe stata una clausola posta dal locatore per non pagare l’indennità di avviamento di cui agli articoli 34 e 35 della legge n. 392/1978. La cooperativa svolgeva in locali classificati nell’ambito della categoria catastale D/1, attività di commercio all’ingrosso o di deposito per cui quello che rilevava, sotto il profilo urbanistico, era che il seminterrato andava necessariamente ricondotto alla predetta lett. e) dell’art. 7 della L.R. cit., le cui destinazioni afferivano a una delle funzioni vietate in Zona BB, per cui poteva essere recuperata ai fini residenziali nei soli limiti del 70% della sua S.A. . Tutti i predetti profili di censura vanno conseguentemente respinti o comunque dichiarati inconferenti. »

 

02/07/2013

Fonte:

http://www.urbium.it

 


 

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