Internet marketing: regolamentazione pubblicità e pratiche commerciali

La rete Internet si è ormai definitivamente affermata come strumento essenziale per il commercio a livello globale e come straordinario mezzo di diffusione delle comunicazioni commerciali e pubblicitarie.

Le più recenti ricerche (1) mostrano un continuo trend di sviluppo del fenomeno pubblicitario online, tanto che nel 2008 si attende una crescita del 40% rispetto allo scorso anno, con un giro di affari destinato a toccare in Italia la cifra record di 1 miliardo di euro.

In particolare si prevede che il 7% dell’intero budget pubblicitario sia destinato ad essere investito in rete, mentre nel 2010 tale quota sarà attesa nell’ordine del 10%.

Rispetto a quella tradizionale, la pubblicità online offre degli innegabili vantaggi, soprattutto in termini di flessibilità e dinamicità.

Essa sfrutta alcuni fattori insiti nelle caratteristiche del mezzo utilizzato che contribuiscono al suo successo, catalizzando l’attenzione degli investitori:

1. la natura “aperta” della rete che prescinde da qualsiasi concetto di confine geografico

2. la misurabilità, intesa come la possibilità di valutare il gradimento del pubblico verso i singoli messaggi e di tracciarne il percorso

3. le potenzialità tecnologiche del mezzo che consentono di collegare il momento della comunicazione a quello dell’eventuale acquisto del prodotto attraverso una relazione di quasi immediatezza

4. l’affermarsi del web 2.0 che sta rivoluzionando i modelli di business in rete garantendo nello stesso tempo agli utenti la possibilità di diventare parte attiva di un processo di continua ricerca e selezione delle informazioni, piuttosto che subire passivamente queste ultime

Dinanzi alle prospettive del mercato dell’advertising online non bisogna però dimenticare le esigenze di tutela degli utenti, in particolare se consumatori, nei confronti di possibili abusi e scorrettezze e, parallelamente, quelle di certezza e chiarezza normativa delle aziende disposte ad investire nel settore.

Questo contributo è dedicato all’analisi dei principali aspetti giuridici relativi al fenomeno pubblicitario online, in particolare per ciò che riguarda i requisiti di liceità e correttezza richiesti dalla legge, anche con riferimento alle pratiche commerciali, ed i rimedi attraverso i quali si realizzano le forme di tutela pubblicistica.

Quadro normativo nazionale e comunitario

Allo stato attuale, dopo gli ultimi interventi legislativi del 2007, la pubblicità, compresa quella ingannevole e comparativa e sotto forma di pratiche commerciali sleali, risulta regolamentata dalle seguenti fonti:

1. decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145: attuazione dell’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE sulla pubblicità ingannevole e comparativa

2. decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 146: attuazione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno

3. decreto legislativo 206/2005 (Codice del consumo): articoli da 18 a 27 così come modificati dal D.Lgs. 146/2007

4. legge 10 ottobre 1990, n. 287 istitutiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato

5. delibere AGCM del 15 novembre 2007, n. 17589/17590: regolamenti sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette e di pubblicità ingannevole e comparativa illecita (Gazzetta Ufficiale del 5 dicembre 2007, n. 283)

A livello comunitario invece il quadro normativo generale si compone delle seguenti direttive:

1. 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa

2. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno

3. 1997/55/CE sulla pubblicità comparativa

E’ opportuno sottolineare che la precedente direttiva 84/450/CE sulla pubblicità ingannevole, così come modificata dalla direttiva 2005/29/CE, è stata successivamente abrogata dalla direttiva 2006/114/CE che ha riunito, perciò, in un unico atto tutte le modifiche succedutesi nel tempo.

Il concetto di pubblicità e la problematica della legge applicabile

Partendo dalla definizione originaria contenuta nel d.lgs. 74/92, ed ora integralmente riproposta nell’articolo 2, comma 1, lett. a) del d.lgs. 145/2007, si può evincere che il concetto di pubblicità è molto ampio (2) e, soprattutto, disgiunto dal mezzo attraverso il quale essa viene diffusa, essendo rilevante soltanto il collegamento funzionale con l’esercizio di una attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale e lo scopo perseguito, vale a dire la promozione:

1. della vendita di beni mobili od immobili

2. della costituzione o del trasferimento di diritti sugli stessi beni

3. della prestazione di opere o servizi

Ciò consente di risolvere positivamente una prima questione legata alla possibilità di attribuire natura pubblicitaria anche alle comunicazioni promozionali diffuse attraverso Internet che rimangono, pertanto, assoggettate alla disciplina citata, purché soddisfino i requisiti previsti ed a condizione che, nelle fasi della loro predisposizione e diffusione, risultino coinvolti operatori italiani.

Vista però la natura globale della rete non si può escludere che, al di fuori di questi casi, nel circuito pubblicitario destinato al mercato italiano vengano coinvolti anche operatori stranieri, ponendosi con ciò il problema di verificare quale sia la legge applicabile a questo tipo di rapporti, considerate le inevitabili differenze che possono sussistere tra le varie legislazioni nazionali, nonostante tutti i tentativi di armonizzazione compiuti a livello europeo (3).

Da questo punto di vista la soluzione naturale sarebbe quella di richiamare i meccanismi del diritto privato internazionale (Convenzione di Roma del 1980), lasciando alle parti i limiti e gli oneri relativi alla scelta della legge da cui si intende far regolare un determinato rapporto.

Tuttavia è proprio l’assenza di una tale scelta quella che ingenera le principali difficoltà poiché il richiamo al criterio suppletivo della legge dello stato con il quale il contratto presenta il collegamento più stretto e, quindi, della legge della parte che deve fornire la prestazione caratteristica, implica la necessità di identificare quale sia il luogo in cui tale prestazione debba essere elaborata od eseguita, cosa non agevole viste le caratteristiche del mezzo utilizzato.

Liceità e riconoscibilità della pubblicità e tutela dei professionisti

Il d.lgs. 145/2007, attuando l’articolo 14 della direttiva 2005/29/CE, detta le disposizioni per la tutela dei professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali e stabilisce le condizioni di liceità della pubblicità comparativa (art. 1, comma 1).

L’ambito di operatività della tutela è circoscritto ai soli operatori economici professionali che, in virtù della definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. c), possono individuarsi nelle persone fisiche o giuridiche che agiscono nell’ambito della loro attività commerciale, industriale, artigianale o professionale ed in coloro che agiscono in nome e per conto di un professionista (agenti o rappresentanti).

Concordemente (4) si ritiene che la tutela si estenda anche a quelle entità che, pur non essendo persone fisiche o giuridiche, siano comunque dedite all’esercizio di una attività di impresa (ad es. le società di persone).

L’art. 1, comma 2, ribadisce il concetto secondo cui la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta: sul primo requisito insiste poi la disposizione dell’articolo 5, intitolato alla trasparenza, intesa come la condizione per cui la natura pubblicitaria di un messaggio deve essere resa chiaramente riconoscibile attraverso l’uso di modalità di presentazione appropriate.

In alcuni casi il principio della riconoscibilità può suscitare dei dubbi sulla liceità formale dei messaggi pubblicitari online, a causa delle particolari modalità con le quali essi sono a volte diffusi.

Si pensi, a tale proposito, ai cd. banner, oggetti grafici di dimensioni variabili spesso inseriti nelle pagine web con finalità di promozione di prodotti o servizi: non è raro imbattersi in elementi di questo tipo che non risultano evidenziati come tali, ponendo dei problemi soprattutto quando le loro caratteristiche sono tali da generare confusione con il contesto nel quale risultano presenti.

Considerazioni analoghe possono poi essere formulate anche con riferimento ad altre modalità di comunicazione pubblicitaria online (sister windows, interstitial, ecc...) (5).

La pubblicità ingannevole

Contraria ai requisiti di liceità appena citati è, prima di tutto, la pubblicità ingannevole, la cui definizione si rinviene nell’art. 2, comma 1, lett. b).

Da una prima interpretazione della norma si può trarre conferma del fatto che il carattere ingannevole deriva dall’attitudine del messaggio a trarre in errore i soggetti ai quali è destinato o che riesce, comunque, a raggiungere, essendo indifferente che l’induzione si verifichi a causa del suo contenuto oppure delle specifiche modalità di presentazione.

Da questo presupposto deve, inoltre, scaturire un potenziale pregiudizio del comportamento economico dei soggetti oppure, a causa di quest’ultimo, l’idoneità a ledere un concorrente.

Ciò che rileva, pertanto, non è tanto il danno in sé e per sé quanto, piuttosto, il pericolo di una compromissione del processo decisionale dei soggetti, tale da riflettersi in una scelta rilevante sotto il profilo economico, oppure di una alterazione dei normali rapporti di competizione del mercato a svantaggio di un concorrente.

Secondo l’art. 3 la valutazione del carattere ingannevole non può prescindere dalla considerazione di tutti gli elementi costitutivi del messaggio, in particolare per ciò che riguarda:

1. le caratteristiche dei beni o servizi

2. il prezzo ed i criteri con i quali esso sia calcolato

3. le qualifiche ed i diritti dell’operatore pubblicitario

Non dimentichiamo, infine, che il combinato disposto degli art. 6 e 7 prevede una particolare forma di tutela nei confronti della pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei soggetti e per i bambini e gli adolescenti.

Con riferimento ai primi, il carattere ingannevole viene ravvisato nella omissione di una idonea informativa circa il potenziale pericolo, quando ciò possa indurre i soggetti a trascurare le normali regole di prudenza e di vigilanza, mentre nel secondo caso occorre distinguere:

1. se la pubblicità è diretta a bambini ed adolescenti è necessario che vi sia un abuso della loro naturale credulità o mancanza di esperienza oppure una minaccia, anche indiretta, per la loro sicurezza

2. se la pubblicità coinvolge bambini od adolescenti deve esserci un abuso dei sentimenti che gli adulti provano naturalmente nei confronti dei più giovani

L’esigenza di garantire a questi soggetti una tutela rafforzata dovrebbe valere, a maggior ragione, per le forme di promozione veicolate sulla rete, dove le caratteristiche di estrema dinamicità e di sviluppo del mezzo possono rendere molto più problematica e difficoltosa l’individuazione dei contenuti privi dei requisiti richiesti, rispetto a quanto accade invece con i media più tradizionali quali televisione e giornali.

La pubblicità comparativa

Sin dal d.lgs. 67/2000, emanato in attuazione della direttiva 97/55/CE, nel nostro ordinamento giuridico è ammessa la pubblicità comparativa, la cui nozione viene riproposta nell’art. 2, comma 1, lett. d) del d.lgs. 145/2007.

Anche tale forma di comunicazione, la cui peculiarità è insita in un raffronto tra le caratteristiche di due o più prodotti o servizi di imprese concorrenti, soggiace ad alcuni requisiti di liceità che vengono definiti dall’art. 4.

In pratica l’ammissibilità è subordinata all’assenza di carattere ingannevole e sleale ed alla circostanza che la comparazione sia relativa a beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni ed avvenga in modo oggettivo, tenendo in considerazione caratteristiche essenziali e verificabili.

Su quest’ultimo punto il comma 2 della norma citata ritiene che la verificabilità sia soddisfatta quando i dati concernenti la caratteristica comparata ne permettono una dimostrazione.

Il successivo comma 3 si occupa invece del caso in cui il raffronto sia relativo ad un offerta speciale imponendo di indicare chiaramente il termine finale o iniziale e le altre condizioni di applicabilità.

Le pratiche commerciali sleali

Il decreto legislativo 146/2007, attuando la direttiva 2005/29/CE, ha modificato gli articoli da 18 a 27 del d.lgs. 206/2005 (Codice del consumo) introducendo nel nostro ordinamento giuridico una nuova disciplina per le pratiche commerciali sleali.

L’ambito di applicazione delle norme è circoscritto alle pratiche che intercorrono tra imprese o professionisti, compreso chi agisce in nome e per conto di questi ultimi, e consumatori, prima, durante e dopo un operazione commerciale avente ad oggetto un prodotto.

La possibilità di ritenere la normativa applicabile anche nei confronti delle forme di pubblicità online scaturisce dal concetto stesso di pratica commerciale che, identificandosi in ogni attività relativa alla promozione, vendita o fornitura di prodotti, è così ampio da ricomprendere “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità [...] ” ( art. 18, comma 1, lett. d).

Dopo aver ribadito, al comma 1, il divieto di pratiche scorrette l’art. 20, comma 2, individua le caratteristiche di scorrettezza di una pratica nella:

1. contrarietà alla diligenza professionale

2. falsità od idoneità a falsare, in modo apprezzabile, il comportamento economico di un soggetto - consumatore o membro medio di un gruppo - in relazione al prodotto.

La condizione veramente essenziale è che vi sia una chiara alterazione della capacità decisionale dei soggetti tutelati tale da spingerli, anche a livello soltanto potenziale, verso una decisione di natura commerciale che, diversamente, non sarebbe stata presa in considerazione (art. 18, comma 1, lett. e).

Più specificamente le scelte che assumono rilevanza, secondo l’art. 18, comma 1, lett. m), sono quelle che producono, quale risultato, una azione od omissione del consumatore relativamente a:

1. acquisto del prodotto

2. modalità e condizione dell’acquisto

3. pagamento integrale o parziale del prezzo

4. conservazione o restituzione del prodotto

5. esercizio di un diritto derivante dal contratto

Resta comunque esclusa dall’ambito normativo la cd. “pubblicità iperbolica”, cioè la prassi comune consistente in dichiarazioni esagerate o che non sono destinate ad essere prese alla lettera (art. 20, comma 3).

Tra le pratiche commerciali sleali occorre, innanzitutto, distinguere quelle ingannevoli, a loro volta distinte in azioni ed omissioni, e quelle aggressive.

A queste vanno aggiunte quelle previste dagli art. 23 e 26 considerate, rispettivamente, ingannevoli ed aggressive in ogni caso, a prescindere, quindi, da qualsiasi valutazione specifica.

In particolare nell’ambito delle prime sono comprese diverse tipologie di condotta consistenti nel fare affermazioni contrarie al vero che, evidentemente, ben si prestano, per la loro stessa natura, ad essere incluse in messaggi di natura pubblicitaria.

Le azioni ingannevoli

L’art. 21 del d.lgs. 206/2005 qualifica come sleali le azioni in due ipotesi specifiche: in un primo caso, di cui al comma 1, occorre che il carattere non veritiero della comunicazione o le modalità di presentazione della stessa siano tali da cagionare un errore relativo ad uno o più degli elementi previsti (ad es. esistenza, natura, caratteristica del prodotto, prezzo, diritti del consumatore, ecc...); in altra ipotesi invece, ai sensi del comma 2, la pratica deve produrre come conseguenza:

1. la commercializzazione di un prodotto o una pubblicità comparativa illecita che provoca confusione con i prodotti o con i segni distintivi di un concorrente

2. il mancato rispetto da parte di un professionista dei codici di condotta che egli abbia indicato come vincolanti

A queste si aggiungono inoltre le disposizioni del comma 3 e 4, concernenti i prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza dei consumatori ed i bambini e gli adolescenti, che richiamano, in buona parte, quanto già detto a proposito della pubblicità ingannevole.

Le omissioni ingannevoli

Il successivo art. 22 prevede invece alcune fattispecie di natura omissiva, come:

1. l’omissione di informazioni rilevanti, di cui lo stesso consumatore abbisogna per poter assumere una decisione consapevole (comma 1)

2. l’occultamento di informazioni rilevanti o la loro presentazione in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo od intempestivo, oppure la mancata indicazione del carattere commerciale di una pratica, sempre che questi elementi non siano evidenti in relazione al contesto (comma 2)

Il successivo comma 4, concernente l’ipotesi in cui vi sia un invito all’acquisto, attribuisce carattere di rilevanza ad alcune informazioni specifiche mentre, in tutti gli altri casi, si ritengono comunque rilevanti gli obblighi di informazione previsti dal diritto comunitario connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o la commercializzazione del prodotto (art. 20, comma 5).

Ne deriva, perciò, che l’omissione riguardante le informazioni richieste dall’art. 8 del d.lgs. 70/2003, in materia di comunicazioni commerciali, ben può atteggiarsi ad omissione ingannevole nel senso appena precisato.

Una tale previsione, se considerata isolatamente, renderebbe praticamente illecite diverse forme di comunicazione pubblicitaria online (6): per questo motivo il comma 3 stabilisce che, se il mezzo utilizzato comporta delle restrizioni, sia spaziali che temporali, per valutare la ricorrenza di una omissione è necessario prendere in esame tali restrizioni ed ogni altra misura adottata per rendere le informazioni comunque disponibili ai consumatori.

Quindi nella valutazione finale non sarà possibile prescindere dalle caratteristiche intrinseche dello strumento utilizzato e neanche dallo sforzo compiuto dal professionista per far sì che i consumatori abbiano comunque accesso alle informazioni realmente necessarie.

Le pratiche commerciali aggressive

Ancor più penalizzanti sembrano essere le pratiche cd. aggressive, cioè quelle che limitano o sono idonee a limitare, considerevolmente, la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o ad un indebito condizionamento (art. 24, comma 1).

Tuttavia, date le loro caratteristiche coercitive, è improbabile che tali pratiche possano delinearsi con riferimento alle tradizionali forme di pubblicità e di marketing online, perlomeno nel caso in cui queste siano diffuse mediante un sito od una altra risorsa web analoga come, ad esempio, un weblog.

In queste ipotesi, infatti, l’aspetto coercitivo appare di difficile realizzazione visto che l’utente dovrebbe conservare la libertà di decidere se accettare o meno un determinato contesto pubblicitario, anche attraverso l’esercizio di una scelta negativa (ad es. non visitare più quella determinata risorsa).

Qualche dubbio può però nascere, sotto il profilo delle molestie, in relazione a talune ipotesi: si pensi, ad esempio, al caso di un sito web in cui la pubblicità di prodotti sia visualizzata con tecniche talmente aggressive ed invadenti da potersi ritenere moleste, inducendo quella indebita compressione della libertà di scelta o comportamento alla quale si riferisce la norma citata.

Inoltre, anche tralasciando per un attimo queste considerazioni, va ricordato il caso previsto dall’art. 26, comma 1, lett. c) che considera aggressiva in re ipsa, a prescindere da qualsiasi ulteriore valutazione specifica, l’esecuzione ripetuta e non richiesta di sollecitazioni commerciali attraverso la posta elettronica od ogni altro mezzo di comunicazione a distanza, fermo restando quanto previsto dagli art. 58 dello stesso codice del consumo e dall’art. 130 del codice della privacy (d.lgs. 196/2003).

La portata di questa disposizione è tale da elevare la rilevanza giuridica del fenomeno dello spamming al punto che quest’ultimo, oltre a rappresentare un comportamento illecito, sotto il profilo dell’indebito trattamento dei dati personali che ne consegue, costituisce altresì una pratica commerciale aggressiva, con tutte le conseguenze del caso, comprese quelle relative ad un eventuale profilo di responsabilità.

La tutela pubblicistica

In tale ambito le competenze dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, già riconosciute dalla legge istitutiva 287/90 e, successivamente, dal d.lgs. 67/2000 in materia di pubblicità ingannevole e comparativa illecita, sono state ribadite, ed anzi estese da entrambi i d.lgs. 145 e 146 del 2007 sia nella portata, poiché ora investono anche le pratiche commerciali scorrette , sia nei poteri di impulso considerato che l’autorità può intervenire anche d’ufficio, oltre che su istanza di “ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse”.

Con tale ultima locuzione si fa riferimento, non soltanto alle persone fisiche, come i consumatori ed i professionisti individuali, ma anche alle loro associazioni rappresentative, alle imprese concorrenti di quella per conto della quale vengono divulgati i messaggi illeciti o che effettua pratiche commerciali sleali ed, infine, alla pubblica amministrazione nei settori in cui questa è portatrice di interessi in relazione ai propri fini istituzionali.

Va rilevato che, in materia di pratiche commerciali, l’autorità esercita i poteri investigativi ed esecutivi derivanti dal regolamento 2006/2004/CE ed il suo intervento prescinde dalla circostanza che i consumatori si trovino nel territorio dello stato membro in cui è stabilito il professionista o in un altro stato membro.

In particolare in relazione allo svolgimento dei procedimenti di cui trattiamo, per i quali si rimanda nel dettaglio alle delibere del 15 novembre 2007, n. 17589/17590 contenenti i regolamenti sulle procedure istruttorie, l’autorità risulta investita dei seguenti poteri:

1. disporre con provvedimento motivato, nei casi di particolare urgenza, la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette o della pubblicità illecita

2. nei casi in cui il committente non è conosciuto, richiedere al proprietario del mezzo che ha diffuso la pratica o la pubblicità ogni informazione idonea ad identificarlo

3. richiedere ad ogni soggetto le informazioni ed i documenti rilevanti per l’accertamento dell’infrazione

4. disporre che il professionista fornisca prove sull’esattezza dei dati di fatto, relativi alla pratica commerciale o contenuti nella pubblicità, quando vi sia un esigenza specifica in relazione alle circostanze del caso (7)

5. richiedere un parere all’autorità per le garanzie nelle comunicazioni quando il mezzo diffusivo sia rappresentato dalla stampa periodica o quotidiana, dalla radio, dalla televisione o da ogni altro mezzo di telecomunicazione

6. ottenere dal professionista responsabile l’assunzione di un impegno a porre fine all’infrazione mediante modifica o cessazione della sua diffusione (8)

7. vietare la diffusione o la continuazione della pratica o della pubblicità, in caso di accertata scorrettezza od illiceità, e disporre con il medesimo provvedimento l’applicazione di una sanzione amministrativa, di entità variabile in relazione alla gravità ed alla durata del fatto, nonché la pubblicazione, a spese del professionista, della delibera stessa o di altra idonea dichiarazione rettificativa

Avverso i provvedimenti dell’autorità è comunque sempre ammesso il ricorso, in via esclusiva, al giudice amministrativo.

(1) Boom della pubblicità online un miliardo di euro nel 2008

(2) Tale da ricomprendere sia il packaging, cioè la confezione dei prodotti, sia il merchandising cioè le azioni promozionali effettuate nei punti vendita del prodotto

(3) L. Furlanetto, La pubblicità online e le pratiche commerciali, in Altalex

(4) G. Visconti, La disciplina della pubblicità ingannevole e di quella comparativa: il decreto legislativo n. 145 del 2007

(5) Interactive Advertisizing Bureau Italia, Pubblicità su Internet

(6) Si pensi ai banner pubblicitari che, a causa dello spazio esiguo di cui dispongono, non possono certo contenere tutte le informazioni rilevanti per un consumatore

(7) Nel caso in cui la prova sia omessa o venga ritenuta insufficiente i dati di fatto vengono considerati inesatti

(8) In questo caso, in relazione alla idoneità degli impegni assunti, l’autorità può renderli

 

23/07/2008

Fonte:  http://www.legali.com

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